domenica 20 settembre 2015

La storia di Pamela Bianco, una pittrice enfant prodige

Per studiare la storia dell’arte, devi essere curioso. Se non sei curioso, se non scavi sempre più alla ricerca dell’oro, che sia la scoperta di un artista che prima non conoscevi o sia un documento inedito, un articolo di giornale che ti chiarisce idee offuscate, allora l’accademismo fa parte di te. E tanto vali.


Ancora, sfatiamo il mito per cui uno storico dell’arte conosce tutto di ogni artista. Non è vero, non può essere assolutamente vero.

Non è possibile conoscere tutta la storia dell’arte, perché ammettere una cosa del genere vorrebbe significare conoscere il più intimo anfratto del mondo ed ognuno dei sette miliardi di individui, quanti siamo al mondo. Perché tutti siamo degli artisti. Lo siamo ogni giorno, lo siamo inconsciamente. Poi è ovvio, chi si dedica maggiormente e fa delle sue ricerche la passione di una vita, tramuta il suo scopo in opere valenti e si differenzia dal comune. Ed è la fortuna critica a suggellare il suo successo. Se ciò che fai piace, sei a cavallo. Se ciò che fai piace, ha fortuna, ciò che fai ti rende immortale, ti rende un artista.
P. Bianco, Primula, 1920,
incisione. 
Detto ciò, io non conosco (e non posso conoscere) tutti gli artisti che hanno caratterizzato le diverse epoche della storia dell’arte, ma ogni giorno posso affermare che ne scopro piacevolmente, sempre qualcuno a me sconosciuto. Qualcuno che poi inglobo, che poi scruto, che poi ricerco e faccio diventare parte integrante del mio vissuto.

Oggi voglio condividere con voi una piacevole scoperta, Pamela Bianco, un’artista nata nel 1906 in Inghilterra ma cresciuta a New York, enfant prodige negli anni di avanguardia ed empirismo, pur rimanendo fortemente accademica nelle sue esecuzioni.

Devo ammettere, per onestà intellettuale, che mi son imbattuto casualmente nel suo mondo, folgorato da un articolo di giornale de La Domenica Illustrata, datato al 3 Aprile 1921, dal titolo La quattordicenne disegnatrice prodigio, che riporterò interamente, a seguire. Son rimasto così folgorato, che volendone sapere un po’ di più, attraverso mirate ricerche, ho delineato un ritratto carino dell’artista, sperando di riportarla all’attualità, dopo qualche decennio di silenzio.

L'articolo de La Domenica Illustrata del 1921, improntato su Pamela Bianco


Pamela Bianco nel 1921.
Pamela Bianco ha qualcosa di peculiare rispetto a molti artisti, che per quanto valenti magari hanno operato per pochi decenni della loro vita (un talento quale Raffaello muore a soli 37 anni): la sua carriera infatti, si svolse per ben otto decenni.  Bambina prodigio osannata per il suo talento già nel 1918, sviluppò e raffinò la sua pittura, sino a sfociare in uno stile prettamente americano – modernista, senza comunque tralasciare la passione per l’incisione che coltivò sino al 1930.

Il forte talento che la caratterizzava sin dagli albori della sua passione, le permise di varcare la soglia di gallerie altisonanti ed essere degna delle prime mostre monotematiche già dal 1919, quando appena tredicenne, poteva considerarsi affermata artista.
La carrier di Pamela infatti, fu letteralmente fulminante: la pittrice, nel 1919 - 1920 espose presso La Gallerie Leicester a Londra; presso leGallerie Anderson a New York, nel 1921; alla Furman Gallery di San Francisco, nel 1922; ed a New York, sia alla Knoedler nel 1923, che alla Rehn nel 1927, ed alla Gallerie Firargid nel 1937.

Come desumibile da un articolo del Times Magazine (Arts), del 24 marzo 1924, intitolatoPamela Bianco, la sua fortuna critica risentì di giudizi più che positivi:

“The present exhibition at the Knoedler Galleries, Manhattan, of the work of the 17-year-old Pamela Bianco is surprising in the mature quality shown in her work. Here is no infant prodigy, but an artist who must be judged by mature standards.
The exhibit comprises some landscapes and still lifes in oil. The landscapes are all rather sentimental in treatment and tend toward a general scheme of green.
Pamela, of American and Italian parentage, has been known for some time as a child painter.

[La presente mostra al Knoedler Galleries, Manhattan, che espone i lavori della 17enne Pamela Bianco, è sorprendente per la qualità matura mostrata nei lavori suddetti. Non sarebbe corretto definirla una bambina prodigio, ma un’artista che dovrebbe essere giudicata con criteri maturi.
La mostra comprende alcuni paesaggi e nature morte ad olio.
I paesaggi sono tutti piuttosto di carattere sentimentale e tendono verso una visione generale che  predilige il verde.
Pamela, figlia di genitori americani e italiani, è nota da tempo come bambina pittrice.]

Dopo i primi anni di formazione Newyorkese, gli apporti più interessanti, derivano dai suoi viaggi  tra Europa e America, in movimento tra ambienti letterari ed artistici in Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, grazie ad una borsa di studio assegnata dal Guggenheim. Le sue ampie amicizie inclusero i poeti Gabriele D'Annunzio, Walter de la Mare e Richard Hughes, gli artisti britannici James Manson, William e Ben Nicholson, gli artisti americani Joseph Stella, Leonora Carrington e Joseph Cornell, e molti mecenati e collezionisti come Gertrude Vanderbilt Whitney, George Gershwin, Cecil Beaton, Charlie Chaplin e Eugene O'Neill.

P. Bianco, Madonna con Bambino, olio su tela
 Le sue opere di maggior spicco, dipinti connotati da una precisione ossessiva e meticolosamente dettagliata sono scrivibili alla sua fase New Yorkese, nei primi anni ‘60.

Un decennio dopo la sua morte avvenuta a New York, nel dicembre 2005 in Inghilterra si è tenuta la prima mostra retrospettiva dei suoi lavori. La mostra comprendeva un cospicuo gruppo di disegni dal tratto delicato, appartenenti alla prima fase della sua formazione, ed illustrazioni del periodo di transito tra enfant prodige e affermata artista.
Nella mostra configuravano anche dipinti realizzati a Londra e nel Galles nel 1920, dipinti di quell’America rurale catturata dagli scatti di Walker Evans, realizzati tra il Connecticut ed il Maine nel corso degli anni ‘20 e '30, oltre agli innumerevoli raffiguranti stralci di New York dello stesso periodo. 
E ancora litografie moderniste dal 1930, dipinti raffiguranti nature stilizzate ed eleganti ritratti degli anni a cavallo tra il 1930 ed il ’40.
A chiudere i dipinti che denotano un carattere fortemente surreale, realizzati nel 1960.

P. Bianco, Cinque bambini che giocano, acquerello. 

Per una visione generale della sua arte, è possibile vedere alcune sue opere presso l’Art Institute di Chicago: http://www.artic.edu/aic/collections/artwork/artist/Bianco,+Pamela, opere dalle quali forse, nonostante l'evoluzione della sua tecnica e delle sue composizioni, è ben percepibile il pensiero di tutti, concretizzato da Gabriele D'Annunzio - "E' una meravigliosa bambina, il cui nome rassomiglia quello di un nuovo fiore" - per cui Pamela Bianco probabilmente, non è mai riuscita a scrollarsi di dosso la fortuna e la colpa, di essere stata sempre considerata come "la bambina prodigio".


TRATTO DA http://svirgolettate.blogspot.it/2013/03/la-storia-di-pamela-bianco-una-pittrice.html







Pamela BiancoFine Feathers, 1957-1961




FLORA- LIBRO DI DISEGNI DI PAMELA BIANCO
CHE ILLUSTRA LE POESIE DI WALTER DE LA MARE


Nickolas Muray

HA FOTOGRAFATO PAMELA BIANCO






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Pomegranate
1957-59




lunedì 22 marzo 2010

ORIANA FALLACI

La controversa scrittrice contestata nei suoi ultimi anni di vita soprattutto a causa dei suoi interventi relativi ai rapporti con l'Islam, nasce a Firenze il 26 giugno 1929, in piena era fascista. Gli anni della sua infanzia sono quelli del potere mussoliniano: forse fa un po' effetto pensare alla "passionaria" e ribelle scrittrice alle prese con un clima simile.

L'aria che respirava in casa non è certo favorevole alla dittatura. Il padre è un attivo antifascista, così convinto delle sue scelte e delle sue idee che addirittura coinvolge la piccola Oriana - allora di soli dieci anni - nella lotta resistenziale con compiti di vedetta o simili. La piccola impara anche ad utilizzare le armi grazie alle battute di caccia organizzate dal padre, che si trascina dietro la bambina durante le sue escursioni venatorie.

Divenuta un poco più grande Oriana si unisce al movimento clandestino di resistenza, sempre guidato dal padre, diventando un membro del corpo dei volontari per la libertà contro il nazismo. E' un periodo assai duro per la Fallaci, e forse è da quegli avvenimenti che si può far risalire la sua celebre tempra di donna di ferro, tempra che poi la contraddistinguerà negli anni della maturità e della celebrità.

Questi eventi cui abbiamo accennato non solo vedono il padre catturato, imprigionato e torturato dalle truppe naziste (riuscendo fortunatamente a salvarsi), ma vedono anche la futura scrittrice ricevere un riconoscimento d'onore dall'Esercito Italiano per il suo attivismo durante la guerra, e questo a soli quattordici anni!

Terminato il conflitto decide di dedicarsi alla scrittura in maniera attiva e continuativa, con il serio proposito di farne una professione di vita.
Prima di approdare al romanzo e al libro, Oriana Fallaci si dedica prevalentemente alla scrittura giornalistica, quella che di fatto le ha poi regalato la fama internazionale. Fama ben meritata, perché a lei si devono memorabili reportages e interviste, indispensabili analisi di alcuni eventi di momenti di storia contemporanea.

Gli inizi sono legati all'ambito cronachistico per vari giornali, ma i direttori con cui viene a contatto non faticano a riconoscere in lei una stoffa di ben altro tipo. Cominciano a fioccare incarichi di più vasto respiro e di grande responsabilità, come le interviste a importanti personalità della politica o il resoconto di avvenimenti internazionali. La sua eccezionale bravura la porta all'"Europeo", prestigioso settimanale di grande spessore giornalistico e culturale, per poi collaborare anche con altre testate, sia in Europa, che nel sud America.

Fra gli exploit più memorabili è da ricordare la sua infiammata intervista all'Ayatollah Khomeini, leader del regime teocratico iraniano e poco incline a riconoscere diritti e dignità alle donne, contrariamente alla Fallaci, che è sempre stata all'avanguardia in questo genere di rivendicazioni. Khomeini fra l'altro non è stato trattato meglio o ricordato con indulgenza neanche nelle dichiarazioni contenute nell'articolo-scandalo "La rabbia e l'orgoglio".

Da ricordare inoltre l'incontro con Henry Kissinger, indotto dalla giornalista, con incalzanti domande, a parlare di argomenti mai affrontati con altri interlocutori, come alcune questioni riguardanti la sua vita privata (in seguito la stessa Fallaci ha dichiarato sorprendentemente di essere estremamente insoddisfatta di questa intervista, vissuta come una delle sue peggiori riuscite).

In seguito la summa dei colloqui con i potenti della Terra viene raccolta nel libro "Intervista con la storia".
L'atteggiamento di fondo che ha sempre contraddistinto la Fallaci lo si evince in maniera esemplare in questa sua dichiarazione che si riferisce proprio al libro e al suo modo di condurre le interviste: "Su ogni esperienza personale lascio brandelli d'anima e partecipo a ciò che vedo o sento come se riguardasse me personalmente e dovessi prendere una posizione (infatti ne prendo sempre una basata su una precisa scelta morale)".

A partire da questo è da rilevare come la scrittura della Fallaci nasca sempre da precise motivazioni di ordine etico e morale, il tutto filtrato da una tempra di scrittrice civile come poche il nostro paese può vantare. In qualche modo il suo nome può essere accostato, pur con tutte le diversità del caso, al solo Pasolini, al quale scrisse una storica e commossa lettera-ricordo in seguito al tragico evento della sua morte. Secondo quanto da lei stessa riferito l'"input" che in genere la induce ha prendere carta e penna "è quello di raccontare una storia con un significato [...], è una grande emozione, un'emozione psicologica o politica e intellettuale. 'Niente e così sia', il libro sul Vietnam, per me non è nemmeno un libro sul Vietnam, è un libro sulla guerra".

Altro esempio che calza a pennello è un testo vendutissimo e di grande impatto, che non ha mancato di sollevare alla sua uscita (come quasi tutti i suoi testi), grandi discussioni: stiamo parlando di "Lettera ad un bambino mai nato", edito nel 1975, scritto proprio in seguito alla perdita di un possibile figlio.

Un significativo esempio del pathos che la Fallaci riversa nei suoi libri è costituito dal best-seller "Un uomo" (1979), romanzo steso in seguito alla morte del compagno Alekos Panagulis. Nel romanzo "Insciallah" scrive la storia delle truppe italiane stazionate in Libano nel 1983. Come nella maggior parte dei suoi libri anche in questo caso la scrittrice mostra lo sforzo, da parte di normali individui piuttosto che di vasti gruppi, di liberarsi dal giogo di oppressioni e ingiustizie di vario tipo e specie.

I suoi libri sono stati tradotti in più di trena paesi; fra i riconoscimenti va segnalata la laurea ad honorem in Letteratura ricevuta dal Columbia College of Chicago.

Seppure di origini fiorentine, Oriana Fallaci ha risieduto a lungo a New York: "Firenze e New York sono le mie due patrie", racconta lei stessa.
Ed è proprio dal grande attaccamento per gli Stati Uniti, dalla grande ammirazione che la Fallaci sente per questo paese, che nasce la sua reazione al terribile attentato terroristico dell'11 settembre 2001 alle Twin Towers.
Con una lettera inviata all'allora direttore del "Corriere della Sera" Ferruccio De Bortoli, Oriana Fallaci ha rotto il silenzio che durava da tempo. Lo ha fatto nel suo stile, uno stile viscerale e potente che non lascia mai indifferenti e che ha sollevato una vasta eco in tutto il mondo. Noi ci limitiamo a riportare qui di seguito l'incipit di quello scritto:

"Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l'altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. "Vittoria! Vittoria!" Uomini, donne , bambini. Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: "Gli sta bene, agli americani gli sta bene". E sono molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso".

Da tempo sofferente di un male incurabile Oriana Fallaci è scomparsa a Firenze all'età di 77 anni il 15 settembre 2006.

Il suo ultimo lavoro, intitolato "Un cappello pieno di ciliege", esce postumo nel 2008 e racconta la storia della famiglia Fallaci su cui Oriana aveva lavorato per oltre dieci anni. Il libro viene pubblicato su ferma volontà di Edoardo Perazzi, nipote ed erede universale di Oriana Fallaci, il quale ha seguito precise disposizioni riguardo alla pubblicazione.


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Bibliografia essenziale
- I sette peccati di Hollywood
- Il sesso inutile
- Penelope alla guerra
- Gli antipatici
- Se il sole muore
- Niente e così sia
- Quel giorno sulla luna
- Intervista con la storia
- Lettera a un bambino mai nato
- Un uomo
- Insciallah
- La rabbia e l'orgoglio
- La forza della ragione
- Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci
- Oriana Fallaci intervista sé stessa - L'Apocalisse
- Un cappello pieno di ciliege
tr


tratto da http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=197&biografia=Oriana+Fallaci

lunedì 7 dicembre 2009

VANESSA BELL

VIRGINIA WOOLF E VANESSA BELL:
UNA BIOGRAFIA SULLE PIÙ GENIALI SORELLE D'INGHILTERRA

Se Virginia Woolf e sua sorella Vanessa fossero state oggetti - e non persone - le ricorderemmo come i due poli di una calamita: due entità che più opposte non si può, ma che trovarono il loro compimento in un minuetto di reciproca, perpetua attrazione. Quando ancora non erano diventate Virginia Woolf - la scrittrice eterna - e Vanessa Bell - la pittrice d'avanguardia e di successo - erano state «le due ragazze più belle e argute d'Inghilterra»: l'anima e il cervello del celebre gruppo londinese di Bloomsbury, il circolo culturale più anticonformista d'inizio Novecento. Ma arrivare lì non era stato facile. Nonostante fossero figlie del famoso giornalista e scrittore Leslie Stephen, non avevano beneficiato di alcuna formazione intellettuale. Come racconta Jane Dunn nell'affascinante e circostanziato saggio "Vanessa e Virginia" (Bompiani), le sorelle Stephen erano cresciute sotto il peso di una rigida educazione vittoriana. Era l'epoca in cui le gambe dei tavoli bisognava coprirle, perché qualsiasi gamba - foss'anche di legno - era un affronto alla moralità. E a Vanessa e Virginia - femminenon fu nemmeno concesso frequentare la scuola: il mondo esterno avrebbe potuto corromperle. Una famiglia scandalosa Talentuose fin dalla primissima infanzia (e, almeno Virginia, già genio), si allearono contro un destino e una società che istintivamente rifiutavano. Erano ancora bambine quando stipularono il patto che le unì per tutta la vita: Vanessa, la maggiore, sarebbe diventata pittrice; Virginia, di tre anni più piccola, un'affermata scrittrice. L'arte sarebbe stata la strada per la loro scandalosa emancipazione. Gli inizi non furono incoraggianti. Più che dalla libertà, l'infanzia e giovinezza furono scandite da morti, violenze e bagliori di follia. L'atmosfera già tetra della loro dimora di Hyde Park Gate - coi suoi tendaggi pesanti e i mobili stipati in ogni angolo - divenne presto opprimente. Per cominciare, ci fu una piccola ecatombe domestica. Nel 1895, quando aveva appena 13 anni, Virginia perse la madre Julia. A quindici, seppellì la cara sorellastra Stella, figlia di primo letto di Julia. A 22, fu la volta dell'anziano padre. E due anni più tardi - quando le lacrime parevano asciugate e la tetraggine di Hyde Park West aveva lasciato posto al nuovo e luminoso appartamento nel quartiere di Bloomsbury - Virginia e Vanessa videro morire l'adorato fratello Thoby, 26enne, per una febbre tifoidea diagnosticata in ritardo. Fu la morte a segnare le tappe della loro crescita: «Il grosso gatto nero che gioca con noi», come la definì l'autrice di "Orlando". Ma gli anni oppressivi di Hyde Park Gate furono anche altro. Per Virginia, furono due gravi crisi psicotiche che la segneranno per sempre. Per Vanessa, la più grande, fu l'obbligo di diventare una precoce padrona di casa - contabile, governante, consolatrice - agli ordini di un padre iracondo e avaro, che non le concedeva spazio e tempo per la pittura. Come non bastasse il caratteraccio paterno, altri caratteri instabili scompaginavano la loro esistenza. Poiché i genitori, quando si erano sposati, erano entrambi vedovi con figli, la loro unione diede vita a una famiglia multiforme - ma soprattutto sgangherata. C'era la sorellastra Laura, ritardata mentale, che finirà i suoi giorni in manicomio. C'era il cugino James, bello e ossessivo, reso pazzo da un incidente ferroviario che gli aveva leso il cervello. E c'era George, il fratellastro più grande, che nottetempo si infilava nel letto di Virginia e abusava sessualmente di lei - sebbene non giungesse mai a una violenza carnale vera e propria. In questa gabbia di matti e di marpioni, le due sorelle coltivavano - testardamente - la propria arte. Virginia leggeva, scriveva e imparò persino il greco, riuscendo a strappare al riottoso genitore due ore di lezioni private ogni settimana. Vanessa si ritagliò spazi per la pittura. Ogni mattina, dopo aver organizzato la servitù, pedalava fino alla Cope's School per allenarsi nel disegno - tanto che alla fine riuscì a essere ammessa alla prestigiosa Royal Academy. Ma gli sforzi delle due sorelle sarebbero stati vani senza la morte del padre. Fu quel lutto a dar loro la libertà necessaria per diventare - finalmente - artiste. All'indomani dei funerali, abbandonarono la loro cupa dimora vittoriana per trasferirsi appunto nel quartiere periferico di Bloomsbury, dove le migliori giovani menti d'Inghilterra si davano appuntamento ogni giovedì sera proprio nel salotto delle sorelle Stephen. Tutti erano innamorati di loro: persino gli omosessuali, che a Bloomsbury abbondavano. Fu in quegli anni che le due sorelle fecero un nuovo patto: per completarsi a vicenda si sarebbero spartite non solo l'arte, ma anche la vita. A Vanessa sarebbero toccate sessualità e maternità; a Virginia l'intelletto e la fama perpetua. È così che scelsero i rispettivi mariti. Vanessa sposò Clive Bell, l'uomo di mondo, mentre Virginia capitolò di fronte all'intelligenza estrema di Leonard Woolf. Ma nemmeno il matrimonio placò il loro estremo anti- conformismo. Anzi. Riuscirono a combinare dei pasticci sentimentali che nemmeno "Beautiful" saprebbe escogitare. Per cominciare, Virginia allacciò una relazione col marito della sorella. Fu una relazione casta, fatta solo di lettere e di baci, ma comunque Vanessa non gradì. Reagì trovandosi un amante, e poi un altro, e un altro ancora, finché approdò alla confusione massima. Dopo aver messo al mondo, col legittimo consorte, due figli maschi - Julian e Quentin - s'innamorò del pittore omosessuale Duncan Grant e concepì con lui la sua terzogenita, Angelica. Fu una relazione che sfociò in una convivenza lunga 48 anni, sebbene Vanessa si vedesse costretta - periodicamente - a estenuanti menage a trois con gli amanti del suo amante. A complicare le cose provvide Angelica. Una volta diventata adulta, annunciò che avrebbe sposato un certo David Garnett. Vanessa, per poco, ci rimase secca. Più tardi, Angelica scoprì che - da ragazzo - il suo caro sposo era stato, per ben tre anni, l'amante del suo caro papà. Gli amori saffici Quanto a Virginia, il sesso le importava tanto quanto il cibo. Niente. Infatti era anoressica. Tornò dal viaggio di nozze con Leonard Woolf dichiarando: «Trovo che l'orgasmo sia enormemente esagerato». Forse perché, in fondo, lei preferiva le donne. È probabile che anche nel suo amore smisurato per la sorella ci fosse qualcosa di saffico. Di sicuro ci fu nei confronti della poetessa e scrittrice Vita Sackville-West, sua amante per quattro anni e amica per i successivi venti. Quando Leonard seppe della relazione, la definì - col pragmatismo del perfetto inglese "una tremenda scocciatura". Ma, in fondo, era ben felice che - se tradimento doveva essere - fosse con una donna e non con un altro uomo. È che, nonostante un matrimonio praticamente senza sesso, Leonard amò e accudì Virginia con devozione infinita, di cui sua moglie si dichiarò eternamente grata. Fu grazie a questa serenità domestica se la Woolf poté incanalare ogni sua energia nella scrittura e partorire capolavori come "Orlando", "Gita al faro" e "Mrs. Dalloway" - senza scordare "Una stanza tutta per sé". Vanessa, invece - soprattutto a causa della sua scapestrata vita sentimentale - disperse parecchio talento. Aveva tre figli da allevare; le case da mandare avanti; un girotondo di marito e di amanti da dirigere. Tempo per la pittura gliene restava poco, e quando - nel 1937 l'adorato figlio Julian morì a soli 26 anni, la sua vena artistica prese a inaridirsi. Suicida a 59 anni Virginia le rimase accanto giorno e notte, per consolare il suo dolore. Ma presto nemmeno lei poté più fare nulla. Soprattutto, la recrudescenza della malattia mentale le impediva di scrivere - e questo per Virginia era la condanna peggiore. Il 28 marzo 1941, all'età di 59 anni, Virginia Woolf si annegò nel fiume Ouse. Dopo tanti lutti superati insieme, sarebbe stata la fine anche per Vanessa? A dispetto di quanto gli amici avevano creduto, no. Duncan le rimase accanto tutta la vita. I figli, Angelica e Quentin, le diedero sette nipotini con cui divise una vecchiaia di inaspettate gioie. Vanessa morì nel 1961, ultraottantenne. E così, alla fine, l'antico patto tra sorelle era stato rispettato: Virginia si era guadagnata la fama perpetua; Vanessa, però, la vita.

(da http://www.arcigaymilano.org

virginia woolf and vanessa bell













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Vanessa Bell (nata Stephen; Londra, 28 maggio 1879 – Charleston Farmhouse, 7 aprile 1961) fu una pittrice e arredatrice britannica, membro del Bloomsbury Group e sorella di Virginia Woolf.


Nata come Vanessa Stephen, figlia di Sir Leslie Stephen e sorella maggiore di Virginia, che in seguito divenne una famosa scrittrice col cognome del marito, Virginia Woolf. Dopo la morte dei genitori le due sorelle Stephen vissero nel distretto di Londra Bloomsbury, dove entrarono in contatto con coloro che poi entrarono nel loro circolo culturale. Vanessa studiò arte con Sir Arthur Cope e, dopo la sua morte, alla Royal Academy.

Nel 1907 Vanessa si sposò con l'altro membro del gruppo Clive Bell e con lui ebbe presto due figli. Tuttavia, già al tempo della Prima Guerra Mondiale, entrambi i coniugi avevano relazioni con altre persone. Vanessa frequentò per un periodo il pittore bisessuale Duncan Grant, con cui ebbe una figlia, Angelica, che avrebbe poi sposato l'ex amante del padre David Garnett.

Vanessa, Duncan ed il suo amante David Garnett si trasferirono nella campagna del Sussex, a Charleston, poco prima dello scoppio della guerra e lì, Duncan e David (da obiettori di coscienza) dovevano lavorare la terra per sfuggire alla chiamata alle armi.
Come Duncan Grant, Vanessa contribuì agli Omega Workshops fondati da Roger Fry. Dopo la Prima Guerra Mondiale divenne membro delLondon Group.

Il figlio maggiore di Vanessa, Julian, morì durante la Guerra civile spagnola nel 1937.

Per tutta la vita il rapporto di Vanessa con Clive Bell rimase amichevole, anche mentre lei aveva dato inizio ad una collaborazione con Duncan Grant, dividendo lo stesso studio o due adiacenti e commentando i lavori l'uno dell'altra.

VIRGINIA WOOLF


La vita di Virginia Woolf

Virginia Woolf (nata come Adeline Virginia Stephen il 25 Gennaio 1882) deve la sua fama mondiale al talento ma anche ai suoi scritti polemici, ai primordi del femminismo. Il suo tentativo di abbandonare il romanzo di stampo realista-psicologico in favore di un romanzo di tipo “moderno”, abbracciando nuovi modi d’espressione in grado di descrivere la vita (o come la descriveva lei, l’“attraversamento delle apparenze”) fu criticato ma anche osannato da molti dei suoi contemporanei.

Nata in un ambiente agiato e colto, settima di otto fratelli, in parte provenienti dai precedenti matrimoni dei genitori, Virginia viene educata all’interno della casa di famiglia, al 22 Hyde Park Gate a Kensington. Insieme alle altre due figlie femmine, Vanessa e Stella, riceve un’ottima istruzione con insegnanti personali, sotto le attente cure della madre Giulia. Virginia e il fratello Thoby manifestano subito la loro inclinazione letteraria e danno vita da bambini ad un giornale domestico, che chiamano l’”Hyde Park Gate News”, una specie di diario fantastico di famiglia.

I maschi di casa studiano a Cambridge. Qui il fratello Thoby conosce Leonard Woolf, futuro marito di Virginia, Clive Bell, Saxon Sydney Turner, Lytton Strachey e Maynard Keynes, che insieme costituiranno il nucleo del Gruppo di Bloomsbury.

L’ambiente familiare è molto stimolante, a prescindere dalle disparità di trattamento, la casa è frequentata da scrittori, giornalisti, editori e artisti in genere, la biblioteca del padre, Leslie Stephen, è sempre aperta e tutti i figli possono scegliere liberamente cosa leggere.

L’improvvisa morte della madre, nel 1895, è un durissimo colpo per tutta la famiglia. Virginia ha 13 anni e viene segnata fortemente da questo lutto in concomitanza del quale soffre le sue prime crisi depressive. La sua vita cambia completamente. Il padre si rinchiude in se stesso. Stella, la sorella più grande, prende il ruolo della madre ma poi si sposa e muore poco dopo. Virginia e Vanessa si ritrovano in una casa di maschi e sono costrette a contrastare l’autoritarismo del padre. Si verificano anche episodi di violenza sessuale da parte dei fratelli George e Gerald D..

L’angoscia e la depressione mentale s’impossessano di Virginia e non la lasceranno più. Il padre muore nel 1904 e questa perdita permette a Virginia e alla sorella di coltivare le loro passioni, la scrittura e la pittura.

I ragazzi Stephen una volta rimasti soli vanno a vivere al 46 di Gordon Square, nella zona di Bloomsbury, dove prendono l’abitudine di riunire intellettuali e artisti, si forma il cosiddetto “gruppo di Bloomsbury”.

Virginia in questo periodo dà ripetizioni serali alle operaie di un collegio della periferia, milita nei gruppi delle suffragette e pubblica le sue prime critiche letterarie. La sofferenza dell’adolescenza è ancora presente e si verifica un nuovo lutto: quello dell’ammirato fratello Thoby. A questa sofferenza si aggiunge il matrimonio di Vanessa, che pur rimanendo legata fortemente a Virginia si distacca fisicamente da lei.

Nel 1911 Virginia si trasferisce al 38 di Brunswick Square. L’anno successivo Leonard Woolf, autore e giornalista, amico del fratello scomparso, diviene suo marito e insieme decidono di vivere di scrittura. Leonard e Virginia sono legati da una profonda complicità. Il marito la incoraggia sempre e si dimostrerà un compagno sensibile e attento. Le riunioni del gruppo di Bloomsbury si spostano a casa dei coniugi Woolf e nel 1913 la scrittrice finisce il suo primo romanzo La crociera, che viene pubblicato due anni dopo. La depressione continua però a tormentarla.

Nel 1917 i Woolf comprano una piccola casa editrice con l’intenzione di stampare un po’ per hobby e un po’ a scopo “terapeutico”, per aiutare Virginia a stare meglio psicologicamente.

Con il marito si spostano fuori Londra a Richmond (Surrey) e in questo periodo la scrittrice crea, stampa e pubblica un paio di brevi storie sperimentali. Progressivamente la casa editrice, la “Hogarth Press” diventa un vero business e finisce per svolgere un ruolo molto importante nella pubblicazione di autori “alternativi”. Nel periodo tra le due guerre saranno pubblicati molti nuovi scrittori e diversi autori stranieri poco o male tradotti (T.S. Eliot, Katherine Mansfield, Freud, Rilke, Svevo, Gorki, Cechov, Tolstoj e Dostoevskij).

Nel 1922 la sua prima novella sperimentale Jacob’s Room appare. La camera di Jacob è il suo primo racconto destrutturato, una specie di puzzle letterario che rompe con le regole del tradizionale romanzo psicologico realista.

Nel 24 Virginia e il marito ritornano a Londra al 52 di Tavistock Square.

Nel ’25 è la volta di Mrs. Dalloway, poi Gita al faro nel ’27 dove Virginia fa rivivere la sua famiglia e le sue villeggiature a Talland House, in Cornovaglia a St. Ives.

Dal suo coinvolgimento amoroso con la poetessa Vita Sackville-West scaturisce Orlando, nel ’28, biografia immaginaria di un personaggio, nato uomo ma che diventerà donna, che attraversa quattro secoli di storia inglese. Il libro cela in realtà un poema d’amore dedicato a Virginia da Vita .

Vita e Virginia si erano incontrate per la prima volta nel 1922 a una cena da amici e da quel momento avevano cominciato a frequentarsi e a scriversi con assiduità. Rimasero sempre legate, oltre che dai sentimenti, dalla comune grande passione per la scrittura.

Seguono due romanzi non convenzionali: Una stanza tutta per sé del ’29, romanzo di sfida al maschilismo dove si tratta della marginalizzazione delle donne dalla scena letteraria, e Le onde del ’31. In quest’ultimo romanzo si leggono l’ossessione per la morte e la solitudine. L’orrore del

nazismo che incombe, la paura per la sorte del marito di origine ebrea, peggiorano il suo stato mentale.

Il suo ultimo romanzo è Tra un atto e l'altro del ’41, riflessione sugli elementi fondanti della civilizzazione.

Virginia Woolf si suicida nello stesso anno, annegandosi nel fiume Ouse

Flora by Bianco, Pamela, 1906-; De la Mare, Walter, 1873-1956